PER NON DIMENTICARE UNA CRUDA E VERGOGNOSA VERITA’
Il 23 maggio del 1992 la mafia uccide Giovanni Falcone, la moglie, Francesca Morvillo e tre agenti di scorta, Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro.
Quel giorno, Cosa Nostra, porta a termine un progetto criminoso studiato da tempo. Uccidere Falcone, il nemico numero uno, colui che aveva certificato l’esistenza di Cosa Nostra e il loro modo di operare e di arricchirsi.
Il giudice morì, materialmente, quel maledetto giorno, ma la sua condanna a morte era stata firmata anni prima. Dalla mafia? No, da organi dello Stato, da partiti politici e da giornalisti. Furono costoro a consegnare Falcone alla mafia, a dare il via libera alla vendetta. E lo fecero nel modo peggiore, il più meschino: con calunnie e umiliazioni. Già in passato, grandi uomini che si battevano contro la mafia, erano stati abbandonati dallo Stato, come nel caso del Gen. Dalla Chiesa. Ma nessuno era stato mai trattato come Falcone. Il defunto ex senatore del Pci/Pds, Gerardo Chiaromonte, ex presidente della Commissione Antimafia, scrisse, nelle sue memorie “Dopo la strage di Capaci tutti si proclamarono ammiratori di Giovanni Falcone. Quante menzogne ascoltai in quei giorni!Fece bene Ilda Boccassini,giudice a Milano,in un’assemblea che si tenne il giorno dopo a Palazzo di Giustizia di quella città,a prendere la parola e a denunciare,con quella passione intransigente certo,ma anche un po’ fanatica che la distingueva,a indicare con nome e cognome i giudici milanesi che si mostravano compunti e addolorati per la morte di Falcone,ma che fino al giorno prima avevano detto di lui cose pesanti e offensive.
Gli attacchi, i complotti, i tentativi di isolare Falcone cominciano già nel 1987. Infatti, mentre si sta per concludersi il maxiprocesso, che vide, per la prima volta, la mafia condannata, un successo clamoroso da parte dello Stato e Falcone ne era stato il principale artefice, il Csm vota per scegliere il successore di Caponnetto alla guida del pool antimafia. I candidati sono due Falcone e Meli. Tutti pensano che a prevalere sia Falcone, quel posto gli spetta di diritto, visto ciò che aveva fatto e stava facendo nella lotta alla mafia. Invece il Csm vota per Meli. Una scelta motivata, si disse, per ragioni anagrafiche. Questa scelta suscitò polemiche e, soprattutto, preoccupazioni da parte degli amici di Falcone, primo fra tutti, Borsellino, che lanciò diversi allarmi attraverso i media. Sosteneva che la bocciatura di Falcone rappresentasse una vittoria della mafia, che vedeva il suo principale nemico, umiliato e isolato. Meli cominciò a smantellare il pool e alla fine lo chiuse. Come se non bastasse, nell’agosto del 1988, alla guida dell’Alto Commissariato per la lotta alla Mafia, a Falcone fu preferito Domenico Sica. Le paure di Borsellino non erano infondate. Nell’estate del 1989, nella villetta dell’Addaura, la mafia organizzò un attentato contro il giudice, una borsa piena ti tritolo era stata piazzata a pochi metri dalla discesa a mare. Ma l’attento fallì a causa di un difetto del detonatore. In seguito Falcone fu accusato, da esseri meschini e schifosi, di aver lui stesso organizzato un finto attentato. Gerardo Chiaromonte «i seguaci di Leoluca Orlando sostennero che era stato lo stesso Falcone a organizzare il tutto per farsi pubblicità».
I nemici di Falcone erano tanti. Il Csm, con a capo la corrente di Magistratura Democratica, uno dei loro esponenti più in vista, Elena Paciotti, si distinse per la sua crociata contro Falcone, in seguito il Pds la fece eleggere al Parlamento europeo. Un premio? A me sembra evidente. Perché, tra i nemici di Falcone c’erano, in prima fila, illustri esponenti del Pci/Pds. Sempre dalle memorie di Chiaromonte ” Ho parlato di gruppi e uomini politici(e la mia angoscia deriva dal fatto che non potevo escludere,da questi ultimi, personalità e parlamentari del Pds). Tra i politici del Pds più ostili a Falcone c’era anche Violante. Un esempio? Alla Camera dei deputati,mentre si discuteva sulla procura nazionale antimafia,un esponente del gruppo degli indipendenti di sinistra presentò un emendamento ad hoc per escludere Falcone da quella carica e il gruppo del Pds votò a favore di tale emendamento. E i media? Anche loro parteciparono al linciaggio. Nel gennaio del 1992 , un articolo su Repubblica, a firma Sandro Viola, massacrava la figura di Falcone “Un comico del carrozzone televisivo, un guitto”. E anche altri giornali vicini al Pds non furono da meno, l’Unità pubblicava articoli a dir poco vergognosi.
Ma il capobranco a guida di questi sciacalli, di queste iene, ha un nome: Leoluca Orlando. Fu lui, infatti, il principale accusatore e calunniatore di Falcone. Accuse ignobili, addirittura, di quasi collusione con la mafia. Perché dire “tu tieni chiusi nei cassetti le prove contro i politici collusi con la mafia”, equivale a dire..tu proteggi qualcuno che ha legami con la mafia..quindi, la mafia stessa. Falcone rispose a tono “Se il sindaco di Palermo sa qualcosa, faccia nomi e cognomi, citi i fatti, si assuma le responsabilità di quel che ha detto. Altrimenti taccia”.
Il 15 ottobre 1991 Giovanni Falcone è costretto a difendersi davanti al CSM in seguito all’esposto presentato il mese prima da Leoluca Orlando. L’esposto contro Falcone era il punto di arrivo della serie di accuse mosse da Orlando al magistrato palermitano, il quale ribatté ancora alle accuse definendole «eresie, insinuazioni» e «un modo di far politica attraverso il sistema giudiziario». A proposito del Csm Falcone disse : è diventato una struttura da cui il magistrato si deve guardare e che rappresenta solo un luogo di lotta politica. «Quanti danni deve ancora produrre la politicizzazione della magistratura? Non si può investire tutto e tutti nella cultura del sospetto, la cultura del sospetto non è l’anticamera della verità ma l’anticamera del khomeinismo». In un’intervista del 2008 al Corriere della Sera il presidente emerito Francesco Cossiga ha imputato al Csm grosse responsabilità riguardo alla morte del Giudice Falcone, ha infatti affermato : “i primi mafiosi stanno al CSM. Sono loro che hanno ammazzato Giovanni Falcone negandogli la DNA e prima sottoponendolo a un interrogatorio. Quel giorno lui uscì dal CSM e venne da me piangendo. Voleva andar via.
Alle elezioni dei membri togati del Consiglio superiore della magistratura del 1990, Falcone venne candidato per le liste collegate “Movimento per la giustizia” e “Proposta 88”, ma non viene eletto. Fattisi poi via via sempre più aspri i dissensi con Giammanco, Falcone optò per accettare la proposta di Claudio Martelli, allora vicepresidente del Consiglio e ministro di Grazia e Giustizia ad interim, a dirigere la sezione Affari Penali del ministero.
Ma la vicinanza con il socialista Claudio Martelli costò al magistrato siciliano violenti attacchi da diversi esponenti politici. In particolare, l’appoggio di Martelli fece destare sospetti da parte del Pci e di altri settori del mondo politico (Leoluca Orlando in primis, oltre a qualche altro esponente della Democrazia Cristiana e diversi giudici aderenti a Magistratura Democratica). Addirittura, nel 1991, la magistratura italiana sciopera contro la legge istitutiva della Procura nazionale antimafia destinata a Falcone.
Ma perché questi attacchi? I motivi sono diversi. L’invidia di molti suoi colleghi per i suoi successi anche internazionali, la volontà di “utilizzarlo” politicamente, ma, soprattutto, la paura. Paura che potesse scoprire cose che non dovevano essere scoperte.
L’ostilità delle sinistre a Giovanni Falcone si trasforma in aperta avversione nel febbraio del 1991 quando, dopo dieci anni di indagine, il pool di magistrati da lui diretto deposita la sentenza istruttoria sui delitti di Piersanti Mattarella, Michele Reina e Pio La Torre. Secondo il pool, allo stato degli atti risultava che i tre esponenti politici erano stati uccisi per mandato di ‘cosa nostra’ perché «il loro ruolo aveva creato e poteva creare un’azione di disturbo a una pluralità disomogenea di centri di imputazione di interessi illeciti».l professore Elio Rossitto, a lungo esponente del Pci, nelle dichiarazioni rese ai magistrati ipotizza che il movente del delitto di La Torre «potrebbe essere individuato nel fatto che egli avrebbe fatto cessare un’altra “alleanza” tra il Partito comunista siciliano e Ciancimino (nonché i corposi interessi imprenditoriali e speculativi a quest’ultimo collegati) nel più lucroso “affare” del progetto per il risanamento della costa orientale di Palermo».«Emergono chiaramente dalle risultanze istruttorie – afferma la requisitoria – le difficoltà che La Torre dovette riscontrare, all’interno del partito siciliano, nella sua opera di moralizzazione». Rossitto racconta ancora che nella gara-appalto per la costruzione del palazzo dei Congressi di Palermo un pezzo del partito, assieme a Vito Ciancimino, avrebbe appoggiato l’impresa Tosi – considerata vicina al Pci – in contrapposizione a Lima favorevole al gruppo Costanzo di Catania. Per quell’affare – secondo Rossitto – al Pci sarebbero andati 480 milioni di vecchie lire.
Quindi è la volta di un altro militante comunista, Paolo Serra. Nell’istruttoria è detto che, subito dopo l’omicidio di La Torre , Serra invia ai magistrati una lettera ove suggerisce di indagare all’interno del Pci. In essa parla di progettazioni affidate dall’Italter a professionisti designati dal Pci, di appalti, di cooperative rosse, del progetto della Sailem sulla costa orientale di Palermo. “È mia convinzione – dice Serra durante l’interrogatorio – che l’omicidio sia maturato anche all’interno del Pci siciliano”. Serra viene subito dopo espulso dal partito. Così come le supposizioni di Rossitto, le accuse di Serra non trovano conferme, solo smentite e versioni contrapposte; ma -conclude la requisitoria – offrono lo spaccato di un partito entro al quale ci sono forti ostilità. Le conclusioni del pool sono clamorose e suscitano un’ampia eco nel sistema informativo nazionale. Il 13 marzo 1991 la vicenda è riportata dal massimo quotidiano del Paese. Il Corriere della Sera annuncia nel titolo ‘L’antimafia accusa i comunisti’; quindi riassume il contenuto della requisitoria così: «Molti sospetti senza sbocchi giudiziari dalla monumentale requisitoria dei magistrati palermitani: una rilettura della stagione dei grandi appalti – Una parte del Pci e Ciancimino insieme nel “Comitato d’affari” – La tesi di un’opposizione “interna” all’opera moralizzatrice di La Torre – La posizione di Piersanti Mattarella: un alleato dell’andreottiano Lima – Reina, segretario provinciale della Dc, prima di essere ucciso era in guerra con Don Vito – I leader regionali del Pds annunciano querele». Gli ampi servizi dedicati dal Giornale di Sicilia alla vicenda – e in cui è rilevato che i comunisti sono stati colti «con le mani in pasta» – sono accompagnati da un editoriale dal titolo «Il Pci ha perso il pelo…» del vicedirettore responsabile Giovanni Pepi. E, a proposito delle accuse di Orlando, Claudio Martelli affermò “Giovanni Falcone aveva scoperto che con Orlando sindaco di Palermo, Vito Ciancimino era tornato a imperare sugli appalti. Questa spiegazione è contenuta nella difesa che Falcone ha presentato di fronte al CSM che lo aveva convocato in seguito all’esposto di Orlando. Il giudice aveva dovuto difendersi dall’accusa più infamante: quella di essere colluso con quel nemico che aveva sempre combattuto.” Inoltre aveva smontato le accuse del pentito Pellegriti contro Andreotti, e questo scatenò Orlando e il Pci..
Ma queste sono solo alcune motivazioni. Alla fine rimane una cruda verità. Falcone fu “ucciso”, prima ancora che dalla mafia, dalle calunnie, dai sospetti, dalle accuse infamanti. Fu delegittimato, abbandonato, isolato..e consegnato alla mafia. Salvo, poi, essere magnificato, omaggiato, osannato..dagli stessi che l’avevano calunniato in vita. Tranne Orlando, lui continua coerentemente nella sua opera. A tal proposito dico che Falcone è stato “ucciso” una terza volta, quando, nel 2012 , i palermitani, hanno rieletto Orlando sindaco. Una vergogna indelebile. La sinistra, quella stessa sinistra che da vivo lo ha calunniato, ha cercato, in questi anni, di appropriarsi di Giovanni Falcone e della sua memoria. Ed io provo un grande sdegno nei loro confronti, e nel mio piccolo non gliela darò vinta.
Ilda Boccassini, che pochi giorni dopo la morte del giudice, pronunciò parole di fuoco contro coloro che l’avevano tradito, nel 2002, a Repubblica dichiarò.. “ in dieci anni nessuno dei colleghi e degli esponenti politici di sinistra ha pronunziato una sola parola di autocritica per i torti arrecati a Falcone”.
«Delle due l’una – continuò la Boccassini -. O quelle accuse erano fondate, e allora non si beatifichi come eroe un magistrato che ha fatto commercio della sua indipendenza, o quelle accuse erano, come sono, calunnie, e gli artefici avvertano la necessità di fare pubblica ammenda. I burattinai o i burattini di qualche indegna campagna di calunnie e insinuazioni» orchestrata a suo tempo contro Giovanni Falcone affollano «le cattedrali e i convegni» quando si celebra il magistrato ucciso dieci anni fa. Come se «la sua esistenza fosse stata premiata da pubblici riconoscimenti o apprezzamenti nella sua eccellenza». Mentre non c’è stato un uomo la cui fiducia e amicizia è stata tradita con più determinazione e malignità».
Nell’intervista rilasciata a Marcelle Padovani per Cose di Cosa Nostra, Falcone attesta la sua stessa profezia: “Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere.”
Alcuni giorni prima dell’attentato dichiara: “Mi hanno delegittimato, stavolta i boss mi ammazzano.”
Aveva ragione.
In questo articolo non ho voluto lasciare spazio al sentimentalismo. Ciò che provo per Giovanni Falcone, ciò che lui rappresenta per me, è una cosa personale. Posso solo dire che gli sono grato.
Per chi volesse approfondire..posto i link di riferimento….
http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Falcone
http://www.linksicilia.it/2012/05/giovanni-falcone-tra-successi-e-tradimenti/
http://gargantua.tumblr.com/post/836000093